Gli imprenditori sono da sempre abituati a prendere le loro decisioni in “condizioni di rischio”.
Non per niente si parla di rischio d’impresa. Al di là del concetto di rischio, che riconduce mentalmente al pericolo, in realtà la condizione in cui l’imprenditore prende normalmente delle decisioni si definisce di “rischio” non tanto in funzione di un pericolo imminente piuttosto perché l’imprenditore è chiamato ad assumersi in sede di decisione finale una responsabilità, aver scelto di percorrere strategicamente la strada di destra (soluzione A) piuttosto che quella di sinistra (soluzione B).
Decisioni in condizioni di rischio.
Le decisioni in condizioni di rischio hanno carattere strategico gestionale, sono decisioni dalle quali dipendono i risultati dell’azienda, la sua crescita, l’apertura di nuovi mercati, il lancio di nuovi prodotti, ed a volte, qui si in condizioni di emergenza, della sopravvivenza dell’impresa stessa.
Ancora in epoca recente abbiamo un esempio emblematico di questo tipo di situazione, pensiamo a quando nel 2004 (sembra ieri) Sergio Marchionne fu chiamato a dirigere la Fiat, l’azienda viveva una stagione drammatica, si disse che era sull’orlo del fallimento.
Il peso che fu caricato sulle spalle del nuovo Amministratore Delegato fu enorme, oggi sappiamo come le decisioni da lui prese furono giuste e garantirono la sopravvivenza dell’impresa ed il suo sviluppo.
In questo tipo di responsabilità, salvo casi eccezionali, non vi è nulla di pericoloso, piuttosto vi è il peso, a volte fortemente gravoso, di dover decidere strategicamente dove condurre la propria azienda.
Questa situazione se vogliamo è rimasta immutata nel tempo, per anni gli imprenditori hanno trasmesso questa capacità di prendere decisioni ai figli, i manager anziani hanno fatto da mentore ai giovani manager.
I cambiamenti di contesto non erano repentini. Si, cambiavano le esigenze del mercato ma lo schema decisionale rimaneva simile. In fondo è esperienza comune quella di chiedere un consiglio su come affrontare la decisione rispetto ad una scelta rilevante.
In ambito privato i figli lo hanno fatto con i genitori, i fratelli minori con quelli maggiori. Era il trasferimento di esperienze vissute, pensiamo alla scelta del corso universitario o di intraprendere un’attività autonoma piuttosto che scegliere il lavoro dipendente.
Poniamoci delle domande. Questo schema funziona ancora oggi? I contesti decisionali sono rimasti simili?
Oggi il contesto è cambiato.
No in molti casi lo schema non funziona più, il contesto è cambiato! Oggi sempre più spesso si è chiamati a prendere decisioni in “condizioni d’incertezza”, questo tipo di situazione disorienta, i parametri consolidati saltano.
È facile qui ricordare le situazioni che ci si sono presentate di fronte con la pandemia nel 2020. Attenzione però, non mi sto riferendo tanto al fattore imprevedibile che giustifica il fallimento di una decisione presa prima che il nuovo evento si verificasse, mi riferisco piuttosto ad una condizione decisionale dove rapidamente viene a mancare l’esperienza di come affrontare la situazione stessa.
Questa è “condizione d’incertezza”, mancano i parametri decisionali a cui eravamo abituati e sempre più spesso questo tipo di condizione si pone nel momento in cui un imprenditore deve prendere una decisione.
La velocità con cui i contesti cambiano, lo sviluppo vertiginoso delle tecnologie, il cambiamento repentino delle situazioni nei mercati sono tutte condizioni che rendono incerta la condizione in cui ci muoviamo. Paradossalmente anche la quantità di informazioni disponibili oggi rendono complesso il processo decisionale. La decisione non è più chiara con i suoi rischi, A o B.
Per farmi capire uso un esempio tipico: ha senso continuare l’attività professionale di famiglia? sino a ieri la risposta era si. Oggi non è così scontato, nuove professioni e mestieri si affacciano velocemente in risposta al mondo che cambia, una rendita ed una proiezione nel tempo della stessa non è più certa.
Decisioni in condizioni d’incertezza.
Torniamo al nostro imprenditore, se decide di percorrere la strada di potenziare la forza lavoro “classica” operai, tecnici, amministrativi, ecc. oppure di costruire un nuovo capannone, lui ha parametri comportamentali consolidati è conosce le modalità di come operare, ha la conoscenza di come procedere alla selezione di quel tipo di nuovo personale, oppure sa che deve rivolgersi ad un certa tipologia di professionisti per il capannone.
Si muove assumendosi il classico rischio d’impresa. Decide in “condizione di rischio”.
Lo stesso imprenditore deve decidere di introdurre in azienda processi digitali, qui la decisione si complica, saltano gli schemi tradizionali, qual è il professionista che gli dia i dati su cui decidere, erroneamente pensa che sia l’ulteriore applicazione di un semplice strumento informatico ma intuisce che forse non è la stessa cosa.
Ecco questa inizia ad essere in una condizione di disagio. Le figure professionali nuove che il digital si porta con sé sono fuori dagli schemi consolidati. Come si seleziona un Inside Sales, un Social Media Manager? Oppure, è meglio aprire una nuova rete di negozi o attivare canali commerciali su piattaforme di vendita online? Qui l’imprenditore si trova a fronte di una “condizione d’incertezza”.
Se la decisione viene assunta solo secondo i parametri classici, l’errore è certamente dietro l’angolo. Nella fattispecie, sa come muoversi per aprire una nuova catena di negozi ma non ha la più pallida idea di come muoversi nel contesto del commercio online.
Come risolvere questa condizione?
La risposta non è sempre facile. Nel passato i ritmi di cambiamento erano meno veloci. La previsione a medio lungo termine era praticabile ed affidabile, oggi diventa complicato fare previsioni a breve termine.
Cerco di dare una risposta riferita solo al mio mondo di interesse, quello della consulenza strategica in ambito digital.
L’imprenditore deve capire che le decisioni da assumere a fronte della trasformazione digitale sono fuori dagli schemi classici, non dovrà agire d’istinto o perchè lo fanno tutti. Anche i parametri di ritorno dell’investimento in ambito digital rispondono a logiche diverse.
Chi avrebbe detto che l’offrire servizi gratuiti all’utenza avrebbe posto le basi per creare un colosso mondiale maggiormente capitalizzato rispetto ai tradizionali settori industriali? Eppure è avvenuto. Lo usiamo tutti i giorni, si chiama Google.
Ecco, è il momento di dare la risposta al nostro imprenditore che ci ha seguiti nella lettura sin qui.
Il Chief Digital Officer!
La risposta per uscire dall’ambito dell’incertezza nel momento in cui si prendono scelte strategiche in ambito digital si chiama Chief Digital Officer (Cdo)
Chi è? Il Cdo è quella nuova figura professionale che conosce gli strumenti digital, di cui segue costantemente le novità che ogni giorno nascono, è colui che sa introdurli correttamente nei processi aziendali. In particolare è colui che fornisce all’imprenditore le informazioni di contesto che gli mancano, ristabilisce coerenza nelle variabili decisionali, sa leggere correttamente le metriche digitali che non sempre rispondo alle classiche logiche dei Kpi più noti e praticati, i quali nell’uso tradizionale sono di carattere economico finanziario.
Noi di Maia Management siamo Cdo, pronti a metterci al suo fianco! Il nostro apporto consente all’imprenditore di uscire in ambito digital dalla “condizione di incertezza”.